Racchiuse tra il Po, il Reno e l’Adriatico, le Valli di Comacchio sono una zona umida importantissima dal punto di vista ecologico, ma anche un singolare esempio di integrazione tra ambiente naturale e attività umana.
Da tempo immemorabile, infatti, qui si praticano la pesca e l’allevamento estensivo di numerose specie pregiate: anguille, branzini, gamberetti di valle.
In particolare l’anguilla, pesce serpentiforme che si riproduce nel Mar dei Sargassi ma compie il ciclo vitale (7-10 anni) nelle acque interne, era un tempo fondamentale per l’economia locale.
Quando le anguille sessualmente mature sentono l’istinto di migrare verso il mare per riprodursi, vengono catturate con i “lavorieri”, sbarramenti posizionati in prossimità delle aperture a mare delle Valli e nei canali interni, studiati in modo da catturare i pesci adulti nel momento della migrazione, consentendo al tempo stesso l’entrata in valle di giovani esemplari.
Le anguille, che arrivano vive sul mercato, possono essere consumate fresche seguendo le innumerevoli ricette tradizionali ma, data la concentrazione della stagione di pesca in un periodo molto limitato (prevalentemente da novembre a gennaio), è tradizionale marinarle in aceto per conservarle.
Le anguille cotte allo spiedo sono poste in recipienti di legno, detti zangolini, insieme alla salamoia. Il segreto sta nella cottura e nella materia prima: l’anguilla selvatica di valle.
Importante anche la composizione della salamoia: la ricetta classica prevede l’unione, in ogni litro di aceto di vino bianco, di circa 70 grammi di sale marino di Cervia e un bicchiere d’acqua. Infine si aggiunge una foglia d’alloro.
L’anguilla così lavorata mantiene le sue caratteristiche organolettiche per diversi mesi, un tempo infatti si consumava a Pasqua.